La storia della vitamina D non può prescindere dalla storia della manifestazione classica della carenza di vitamina D nell’organismo in fase di accrescimento, ovvero del rachitismo.

Le prime osservazioni del rachitismo risalgono al I-II secolo d.C., con descrizioni di bambini romani con deformità ossee che venivano attribuite a generiche carenze alimentari e igieniche.

È però con la Rivoluzione Industriale che i casi di rachitismo si moltiplicarono; la popolazione principalmente agricola si era infatti trasferita nelle città ed era costretta a vivere in vicoli stretti e bui, con un’atmosfera inquinata dal fumo industriale.

In questo periodo, in Paesi scarsamente esposti alla luce solare, il rachitismo si manifestò in proporzioni epidemiche, arrivando a colpire fino al 90% dei bambini delle classi povere nelle città industrializzate dell’Europa e del Nord America.

Alla fine del XVIII secolo alcuni medici avevano rilevato l’effetto benefico sulla malattia dell’olio di fegato di merluzzo, ma tale indicazione terapeutica aveva sollevato molte perplessità.

Nello stesso periodo venne ipotizzata anche un’associazione tra ridotta esposizione solare e rachitismo.

Venne infatti documentata una relazione fra la distribuzione geografica del rachitismo e l’entità della radiazione solare annuale, notando come i bambini del Terzo Mondo fossero meno soggetti al rachitismo rispetto ai bambini che vivevano nelle città industrializzate europee.

Da ciò venne ipotizzato che un’adeguata esposizione solare fosse alla base della prevenzione e della cura del rachitismo.

All’inizio del 1900 venne condotto un esperimento del tutto innovativo, curando bambini affetti da rachitismo mediante irradiazione con la luce ultravioletta prodotta artificialmente da una lampada a mercurio. Venne poi dimostrato che era sufficiente esporre i bambini rachitici alla luce solare per la cura della malattia.

Parallelamente, gli stessi brillanti risultati sul rachitismo ottenuti con la luce solare o ultravioletta si ottenevano sul fronte nutrizionale con l’olio di fegato di merluzzo. Venne pertanto ipotizzato che il rachitismo potesse essere dovuto a una carenza alimentare.

A seguito di alcuni esperimenti, venne attribuita un’azione antirachitica a un fattore denominato “vitamina D” (non trattandosi delle vitamine A, B e C e seguendo il puro ordine alfabetico).

La vitamina D venne quindi riconosciuta come un micronutriente essenziale.

Studi successivi dimostrarono che l’irradiazione di una varietà di sostanze e alimenti li arricchiva di proprietà antirachitiche, per cui, negli anni ’30, il governo statunitense iniziò una politica di fortificazione di vari cibi, eradicando in questo modo il rachitismo.

Sulla base delle precedenti osservazioni venne ipotizzato che l’irradiazione di una sostanza inattiva di natura lipidica determinasse la comparsa di un composto di vitamina D attivo.

Adolf Windaus, un chimico tedesco dell’Università di Gottinga, isolò la vitamina D3 dalla pelle di organismi vertebrati, ipotizzando che questa venisse naturalmente prodotta dalla cute; gli studi sulla vitamina D gli valsero il premio Nobel per la chimica nel 1928.

L’ipotesi che la vitamina D3 si formasse nella pelle come conseguenza dell’irraggiamento fu poi confermata 50 anni dopo.

 

Fonti:
Cianferotti, L., Marcocci, C. Vitamina D: la storia antica di un ormone moderno. L’Endocrinologo 11, 121–129 (2010). https://doi.org/10.1007/BF03344713